Guru Gobind Singh Ji

Gobind Rai – nome del decimo Guru prima di salire al trono dei Guru – aveva soltanto nove anni quando suo padre, Guru Tegh Bahadur, si scarificò per salvaguardare la fede Indù.

Come Guru prestò molta attenzione alla padronanza delle abilità sia fisiche sia letterarie. Ebbe un talento naturale per le composizione poetiche ed i suoi primi anni furono devolti assiduamente a questo.

Molto del lavoro letterario di Guru Gobind Singh fu svolto a Paonta, luogo sul quale si era temporaneamente spostato nell’aprile del 1685. Per Lui la poesia era un mezzo per rivelare il principio divino e far concepire una visione del Supremo e unico Dio. Con la sua poesia predicò l’amore e l’uguaglianza e un codice di comportamento rigorosamente etico e morale, disapprovando le credenze nelle superstizioni. La spada non ha mai avuto il significato di aggressione e deve essere usata soltanto per auto-difesa. Era l’emblema della tutela dell’umanit{ nei momenti più gravi. Guru Gobind Singh scrisse anche nel suo Zafarnamah “quando tutti gli altri mezzi contro la tirannia falliscono, è lecito usare la spada”.

Durante il suo soggiorno a Paonta Sahib, Guru Gobind Singh si servì del suo tempo libero per esercitarsi nelle varie forme militari, quali l’equitazione e il tiro con l’arco. La sua aumentata influenza sulla gente e gli addestramenti marziali dei suoi uomini incrementarono la gelosia dei rivali Moghul che con Raja Fateh e Chand Garhval attaccarono i Sikh, ma uscirono sconfitti da questa battaglia a Bhangani, circa dieci chilometri da Paonta, il 18 settembre del 1688.

Guru Gobind Singh ji quando ebbe la certezza che il popolo poteva autogestirsi e vivere a testa alta e camminare sulla retta via, nell’aprile del 1699 radunò un gran numero di persone, uomini e donne, e li battezzò dando loro una nuova identità e soprannominò i Sikh maschi Singh, leone, e le donne Sikh Kaur, principessa, e gli fu richiesto di portare sempre con sé i cinque simboli del Khalsa, tutti che iniziano con la lettera Ki Kesh, cioè i capelli lunghi e barba lunga ; il Kangha, un pettine piccolino per mantenere ordinati i Kesh; il Kara, un braccialetto d’acciaio; il Kirpan, piccolo pugnale; il Kachera, particolare tipo di sottoveste.

I Sikh furono incoraggiati a soccorrere i poveri e a combattere gli oppressori, per avere fede in un unico Dio e per considerare tutti gli esseri umani uguali, indipendentemente dalle caste e dalla dottrina religiosa. Guru Gobind Singh stesso ha ricevette il rito d’inizializzazione dai cinque beniamini, così l’autorità del Khalsa cambiò il suo nome da Gobind Rai a Gobind Singh. Molti poeti recitano “Gobind Singh, maestro e discepolo allo stesso tempo”, un’azione mai registrata fino allora da parte di un’entità così elevata.

Altri dettagli importanti per essere un vero Sikh sono che essi non devono fare uso di tabacco e alcolici. Un Sikh non deve avere rapporti sessuali fuori dal legame coniugale.

Dopo l’attacco ad Anandpur Sahib da parte dei Moghul, la famiglia del Guru si separò e due dei quattro due shahibzade (figli), più giovani, Zorawar Singh (nato il 1696) e Fateh Singh (nato il 1699), e la madre, Mata Gujri, vennero ospitati dal loro servo, Gangu, che poco dopo li denunciò alle forze Moghul del Sirhind in cambio di denaro. Così i shahibzade vennero uccisi perché non volevano convertirsi all’Islam il 13 dicembre del 1705 e la loro nonna, Mata Gujri, lasciò il proprio corpo lo stesso giorno.

Mentre i due shahibzade più grandi, Ajit Singh (nato il 1686) e Jhujhar Singh (nato il 1690) persero la propria vita combattendo valorosamente contro i Moghul.Guru Gobind Singh aiutato da un musulmano Ral Kalha di Raikot, raggiunse Dina nel cuore del Malva. Lì arruolò alcuni guerrieri e compose inoltre la famosa lettera, Zafarnamah ovvero epistola di vittoria, indirizzata all’imperatore Aurangzeb. La lettera era un atto d’accusa per l’imperatore e i suoi comandanti che non mantenerono il loro giuramento, di finire tutte le rivalità se il Guru e il suo esercito avessero lasciato la città di Anandpur, ma al contrario attaccarono la città di Anandpur.

Da Dina, Guru Gobind Singh continuò il suo viaggio fino a che riuscì a prendere posizione su entrambi i lati del lago di Khidrana, così da poter fare un’ultima battaglia finale. Il combattimento del 29 dicembre 1705 fu molto duro e atroce. Nonostante il gran numero di soldati, le truppe dei Moghul non riuscirono a bloccare il Guru e dovettero battere in ritirata. La parte più valorosa in questa battaglia fu svolta da un gruppo di 40 Sikh; loro che avevano abbandonato il Guru a Anandpur durante il lungo assedio dei Moghul, che però quando tornarono dai loro famigliari vennero rimproverati da quest’ultimi perché avevano lasciato il Guru da solo, e così sotto la direzione di una donna coraggiosa e determinata, Mai Bhago, riuscirono a riacquistare fiducia in se stessi e tornarono dal Guru. Essi combatterono da eroi per controllare l’avanzamento del nemico verso la posizione del Guru. Il Guru dopo la battaglia benedì i 40 Sikh come 40 mukte, cioè i 40 liberatori.

Dopo avere passato un po’ di tempo nella giungla di Lakhi, Guru Gobind Singh arrivò a Talvandi Sabbo, ora denominata Damdama Sahib, il 20 gennaio del 1706. Durante il suo soggiorno di oltre nove mesi, un certo numero di Sikh lo raggiunse. Preparò una nuova recensione del Guru Granth Sahib, con Bhai Mani Singh, come suo scrittore.

L’epistola, Zafarnamah, trasmessa da Guru Gobind Singh, fece rifletter l’imperatore Aurangzeb che immediatamente lo volle invitare per una riunione e mandò una lettera per il Guru. Guru Gobind Singh ricevette la lettera che lo convocava a Deccan. Egli era in prossimità di Baghor, nel Rajhastan, quando arrivò la notizia della morte dell’imperatore Aurangzeb ad Ahmadnagar il 20 febbraio 1707. Il Guru decise allora di ritornare nel Panjab, passando da Shahjahanabad (Delhi). Nel frattempo i due figli dell’imperatore defunto stavano litigando per via della successione. Guru Gobind Singh dichiarò una preferenza per il fratello maggiore, il principe liberale Muazzam, che salì poi al trono con il titolo di Bahadur Shah. Il nuovo imperatore invitò Guru Gobind Singh per una riunione di ringraziamento che avvenne ad Agra il 23 luglio 1707. L’imperatore Bahadur Shah volle muoversi contro il Kachhvaha Rajputs di Ambra (Jaipur) posto in cui suo fratello più giovane, Kam Baksh, aveva sollevato la sommossa contro di lui e il Guru decise di accompagnarlo. I due accampamenti attraversarono il fiume Tapti fra l’11 e 14 giugno 1708 e il Ganga il 14 agosto, arrivando a Nanded, sul Godavari, verso fine agosto.

Mentre Bahadur Shah continuò la marcia, Guru Gobind Singh decise di rimanere per un po’ a Nanded. Qui venne a contatto di un recluso di Bairagi, Madho Das, il quale si convertì al Sikhismo e prese il nome di Gurbakhsh Singh (Banda Singh Bahadur, nome col quale è conosciuto al giorno d’oggi). Guru Gobind Singh diede a Banda Singh cinque frecce dalla propria faretra e cinque dei suoi Sikh e disse di andare nel Panjab per continuare la campagna contro la tirannia dei sovrani della zona.

Nawab Wazir Khan di Sirhind s’ingelosì vedendo l’imperatore e il Guru stare a fianco a fianco e così incaricò due dei suoi più fidati uomini di assassinare il Guru prima che l’amicizia con l’imperatore aumentasse. Uno dei due colpì il Guru nella parte sinistra sotto il cuore quand’egli stava riposando nel suo alloggio dopo la preghiera serale del Rehraas. Prima che tentasse un altro colpo, Guru Gobind Singh lo uccise con la sua spada, mentre il suo compagno fuggente fu preso dalle spade dei Sikh che stavano venendo in soccorso al Guru. Appena la notizia raggiunse l’accampamento di Bahadur Shah, egli inviò subito dei chirurghi esperti per assistere il Guru. La ferita fu cucita e guarì rapidamente. Il Guru infine decise di lasciare la vita terrena, il 7 ottobre 1708, ma prima di farlo consegnò ai Sikh il loro nuovo e definitivo Guru, il libro sacro, Guru Granth Sahib. Da quel momento in poi i Sikh dovevano fare ricorso solo alla parola “divina” e non ci sarebbe più stata una figura umana per loro.

Fonte: Sikhi Sewa Society

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